Riportiamo un interessante articolo pubblicato ieri 17 agosto su Teleborsa.it dall’accreditato editorialista Guido Salerno Aletta, per altro spesso ospitato anche dal quotidiano economico finanziario “Milano Finanza”.
Nell’articolo l’editorialista mette in risalto la circostanza che “la gestione del tasso di cambio è fondamentale per un Paese come la Russia, che fonda gran parte della propria economia sulle esportazioni e che è soggetta da due anni ad un regime di sanzioni assai stringenti da parte dei Paesi occidentali“.
La Russia adotta un regime di cambio controllato, “che ha rafforzato il rublo a fronte del clima di profonda sfiducia che lo aveva colpito subito dopo l’inizio della invasione della Ucraina e le sanzioni comminate dagli Usa e dalla Unione europea, quando si registrò un crollo violento: dai 77 rubli per 1 dollaro dell’11 febbraio del 2022 si arrivò a 134 rubli l’11 marzo. Le misure di emergenza volte ad assicurare la tenuta della valuta russa ebbero successo: il rublo riuscì a rivalutarsi fino a raggiungere quota 54 il 24 giugno 2022 e poi tendere ad una lenta ma incessante svalutazione, fino ad arrivare al cambio di 100 rubli per 1 dollaro lo scorso 10 agosto, data a partire dalla quale la Banca centrale russa aveva già annunciato che non avrebbe più acquistato valuta straniera.Mentre nel primo periodo le misure di emergenza erano riuscite ad evitare il caos ed a rimediare al crollo del rublo, è stato successivamente necessario pilotarne il cambio in modo da stabilizzare il mercato con l’obiettivo di farlo scivolare ad un livello tale da massimizzare i proventi in rubli derivanti dalle esportazioni di prodotti petroliferi e di scoraggiare le importazioni”.
“Se un rublo forte rende infatti conveniente continuare a comprare all’estero, anziché cominciare ad investire all’interno per sostituire le importazioni, un rublo debole aiuta le esportazioni: una necessità assoluta, vista la rinuncia dei paesi europei a continuare ad approvvigionarsi per l’energia dalla Russia e considerato il tetto di 60$ al barile per il petrolio della Russia che è stato imposto in sede G7 per plafonare gli introiti di Mosca. La Russia deve cercare di trovare nuovi compratori per le sue esportazioni e mantenere il più possibile alti i proventi in rubli che ne derivano: poiché i prezzi internazionali delle materie prime, ivi comprese quelle energetiche, sono fissati in dollari, e non potendo incidere più di tanto su queste quotazioni, la Russia ha interesse a svalutare la propria moneta sul dollaro, perché in questa maniera aumenta gli introiti di bilancio che vengono pagati in rubli e che derivano dalle royalty imposte sulle esportazioni”.
“Il 9 agosto scorso, la Banca centrale russa ha annunciato che a partire dal giorno successivo e fino alla fine dell’anno in corso non avrebbe più effettuato acquisti di moneta straniera, ed era ovvio che il mercato avrebbe reagito facendo cadere il valore del rublo, visto che non ci sarebbero più stati gli acquisti della Banca centrale a determinarne indirettamente il valore: poiché fino ad allora aveva comprato valuta straniera, aveva fissato il valore di questa moneta rispetto a quella russa. Il rublo si è dunque svalutato, arrivando il 14 agosto a quota 102,25 per 1 dollaro, per poi riprendere quota e risalire al cambio di 94 rubli per 1 dollaro il 16 agosto rispondendo positivamente alla decisione della stessa Banca centrale russa di aumentare di 3,5 punti percentuali il tasso ufficiale di sconto, portandolo al 12%. L’effetto cui si tende è duplice: scoraggiare le importazioni, rendendole più costose, agevolare le esportazioni rendendole più a buon mercato per i compratori e contemporaneamente aumentare gli introiti fiscali per quelle contrattate in dollari sulla base dei listini internazionali che quotano le merci in dollari.
A fronte di un livello di inflazione che in Russia è attualmente in crescita, visto che il tasso annuo del 4,4% tende ad arrivare al 7,6% sulla base della tendenza degli ultimi tre mesi, la svalutazione del rublo comporta per un verso la prospettiva di un aumento dei prezzi delle importazioni ma rende contemporaneamente più conveniente la produzione interna.
Allo stesso tempo, un tasso di sconto così elevato indirizza gli investimenti finanziari all’interno piuttosto che all’estero.”