Luciano Graziuso
Sabato scorso si è svolto il quinto scambio di ostaggi tra lo stato sionista ed Hamas, nel corso del quale sono stati rilasciati 3 prigionieri israeliani e 183 palestinesi. Per il nostro sistema d’informazione è stata l’ennesima occasione per gettare fango sulla resistenza palestinese, colpevole di aver “spettacolarizzato” il rilascio dei tre sequestrati, e per raccontare minuziosamente ancora una volta la storia completa di ognuno di essi, con lo scopo evidente di commuovere l’opinione pubblica e volgerla dalla parte di Israele.
Fermo restando che i membri di Hamas potrebbero benissimo evitare questi “spettacoli” (che, oltre ad essere brutti da vedere, vengono usati dalla maggioranza dei mass-media occidentali contro di loro), fa comunque storcere molto di più il naso il solito metodo adottato dal nostro mondo della comunicazione ogniqualvolta ci sia da parlare di questi scambi di prigionieri. Prima ancora che i 3 israeliani fossero rilasciati, di ognuno di essi si conoscevano già vita, morte e miracoli, mentre di nessuno dei 183 palestinesi, come al solito, si era detto nulla; tutto ciò, come sempre, con l’obiettivo di disumanizzarli per far sembrare giusti, o quantomeno più accettabili, i crimini di guerra che Israele continua a commettere incessantemente. Interpellato sulla questione, il premier dello stato ebraico Netanyahu ha usato addirittura il termine “crudeltà” per descrivere quanto avvenuto. Termine già di per sé abbastanza eccessivo, ma a maggior ragione del tutto fuori luogo se si pensa al fatto che 7 dei 183 ostaggi palestinesi han dovuto essere ricoverati urgentemente in ospedale subito dopo il rilascio, a causa delle precarissime condizioni fisiche dovute alle torture e ai maltrattamenti subiti nelle carceri israeliane e gli altri non erano certamente messi meglio (ma la loro sofferenza non “esiste” o non è degna di attenzione!); in particolare, le condizioni di 3 dei 7 sono state definite “pessime” dal personale medico.
Tutto il mondo che si informa veramente, da fonti credibili o comunque più veritiere di quelle che ci propina il sistema mainstream in Occidente e in Italia, sa che nelle prigioni israeliane sono all’ordine del giorno sevizie di ogni tipo, non ultime la privazione di cibo, acqua, le violenze sessuali (anche sugli uomini) etc.; sappiamo che addirittura si assumono ad hoc specialisti, medici perlopiù, che possano individuare i punti “deboli” di ciascun prigioniero in modo da “calibrare” su di essi le torture più “adatte”, cioè quelle più dolorose, quelle che farebbero soffrire di più i malcapitati. Ma a noi basta aver visto come lo strazio degli ostaggi israeliani, a cominciare dalle donne dei primi rilasci fino agli uomini liberati sabato, sia stato esaminato al microscopio, sceverato in ogni aspetto, esibito sempre davanti alle telecamere; abbiamo visto come costoro abbiano potuto riabbracciare subito i loro parenti, parenti peraltro già ripresi da tutte le tv del mondo mentre trepidanti seguivano le fasi del rilascio dei propri cari. Nulla sappiamo invece del dolore dei familiari dei 183 ostaggi palestinesi né delle loro vicende umane e neppure conosciamo i loro nomi! E non dite che sarebbe stato impossibile dirli tutti… Abbiamo notato, per finire, che le condizioni fisiche di costoro non erano assolutamente migliori di quelle degli ostaggi israeliani e abbiamo pensato non alla crudeltà di Hamas, che ha liberato giustamente le donne per prime e “in buone condizioni fisiche” (parole dell’ospedale israeliano dove erano state portate subito dopo il rilascio), ma a come la Resistenza palestinese sia riuscita miracolosamente a mantenere in vita i suoi ostaggi nonostante le carneficine, i massacri, i bombardamenti, questi sì crudeli, su ospedali, camion di aiuti umanitari e alimentari della Striscia!

Grazie, Luciano, per i tuoi articoli di controinformazione. Sempre convincenti perché ben elaborati e ben documentati.
Meriterebbero grande diffusione!