Armi italiane, affari d’oro violando la legge: disapplicata la 185/90. Mentre Leonardo di fatto mette l’alta tecnologia a servizio del genocidio in corso a Gaza (Laura Tussi – Il Faro di Roma)

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Armi italiane, affari d’oro violando la legge: disapplicata la 185/90. Mentre Leonardo di fatto mette l’alta tecnologia a servizio del genocidio in corso a Gaza (Laura Tussi – Il Faro di Roma)

Oltre cento miliardi di euro. È il valore complessivo dell’export di armamenti italiani negli ultimi trent’anni, una cifra impressionante che testimonia la centralità dell’industria militare nel sistema economico e geopolitico nazionale.

Eppure, buona parte di questo commercio viola apertamente i principi sanciti dalla legge 185 del 1990, che regola le esportazioni di materiali di armamento vietando la vendita verso paesi in stato di conflitto armato o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.Negli ultimi cinque anni, il valore delle esportazioni militari ha raggiunto i 44 miliardi di euro, equivalenti a quanto realizzato nei quindici anni precedenti. Una crescita esponenziale, favorita da una sistematica disapplicazione dei vincoli normativi e da una politica estera sempre più subordinata agli interessi economici del 1990, che regola le esportazioni di materiali di armamento vietando la vendita verso paesi in stato di conflitto armato o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.

Negli ultimi cinque anni, il valore delle esportazioni militari ha raggiunto i 44 miliardi di euro, equivalenti a quanto realizzato nei quindici anni precedenti. Una crescita esponenziale, favorita da una sistematica disapplicazione dei vincoli normativi e da una politica estera sempre più subordinata agli interessi economici del comparto bellico. I principali acquirenti sono paesi come il Kuwait, il Qatar, ma anche il Regno Unito e la Germania. Tuttavia, è nei rapporti con paesi fuori dall’Unione Europea e dalla Nato – come Arabia Saudita, Egitto, Pakistan, Turchia ed Emirati Arabi Uniti – che emergono le contraddizioni più gravi.

Una legge ignorata

La legge 185/90, approvata dopo un’intensa mobilitazione del mondo pacifista e dell’associazionismo cattolico e laico, impone il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione – che ripudia la guerra – e stabilisce una serie di criteri etici per le esportazioni militari. Essa vieta esplicitamente la vendita di armi a stati responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, a paesi coinvolti in conflitti armati e a governi non democratici.

Ma negli ultimi decenni, governi di ogni colore politico hanno progressivamente svuotato la legge di significato, aggirandola attraverso meccanismi burocratici e interpretazioni restrittive. Gli stessi organi di controllo parlamentare sono stati indeboliti e marginalizzati, mentre la trasparenza sulle transazioni è venuta meno, nonostante la legge preveda relazioni annuali dettagliate da parte del governo.

Conflitti e complicità

L’export italiano continua a foraggiare regimi autoritari coinvolti in guerre devastanti, come nel caso della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti nella guerra in Yemen, che ha causato oltre 400.000 morti, la maggioranza civili, secondo le stime delle Nazioni Unite. Le forniture di armamenti prodotti in Italia, e in particolare in Sardegna dalla RWM – da bombe aeree a sistemi radar, da missili a elicotteri – sono documentate da numerosi rapporti delle ONG internazionali e da inchieste giornalistiche.Lo stesso vale per l’Egitto, con cui l’Italia ha rafforzato i rapporti militari nonostante il brutale assassinio di Giulio Regeni e la repressione sistematica dell’opposizione. Eppure, dal Cairo a Riyad, da Islamabad ad Ankara, l’industria bellica italiana continua a prosperare, con la benedizione di istituzioni pubbliche, banche e fondi di investimento.

Il rischio nucleare e la mancata ratifica del TPAN

In questo contesto di riarmo globale e moltiplicazione dei conflitti, la minaccia di una guerra nucleare torna a profilarsi all’orizzonte. E mentre 70 Stati hanno già ratificato il Trattato ONU di proibizione delle armi nucleari (TPAN), adottato nel 2017 da 122 Paesi a New York, l’Italia continua a rifiutarsi di sottoscriverlo, allineandosi alla strategia della NATO che considera le armi atomiche un “ombrello di sicurezza”.Il TPAN – promosso dalla Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), premiata con il Nobel per la Pace nel 2017 – vieta non solo l’uso e la minaccia dell’uso, ma anche la produzione, il possesso, lo stoccaggio e il trasferimento di armi nucleari. Un passo fondamentale verso il disarmo multilaterale e la costruzione di un ordine internazionale basato sul diritto e non sulla deterrenza.

Leonardo continua la collaborazione con Israele (e le forniture)

Nonostante le crescenti pressioni internazionali e le dichiarazioni del governo italiano circa la sospensione dell’export di armi verso Israele, Leonardo S.p.A., il principale gruppo industriale italiano della difesa, mantiene da anni rapporti solidi e articolati con l’apparato militare israeliano. La collaborazione più nota risale al 2012, quando l’azienda – allora ancora Alenia Aermacchi – ha venduto a Israele 30 aerei da addestramento M-346, poi ribattezzati “Lavi”, in un affare da circa un miliardo di dollari. In cambio, Israele forniva all’Italia tecnologie satellitari e radar, in uno scambio bilaterale vantaggioso per entrambi i Paesi.Negli anni successivi, Leonardo ha continuato a fornire a Tel Aviv armamenti e sistemi avanzati, tra cui i cannoni navali OTO Melara da 76 millimetri, installati sulle corvette della marina israeliana, ed elicotteri leggeri AW119, consegnati tramite il programma di vendite militari statunitensi (FMS). Anche la controllata americana DRS, oggi pienamente integrata nel gruppo, ha consolidato rapporti con l’IDF (l’esercito israeliano), fornendo rimorchi pesanti per mezzi blindati e, soprattutto, radar avanzati tramite RADA, società israeliana incorporata nel gruppo Leonardo DRS nel 2023.

Nel campo dell’innovazione tecnologica, Leonardo ha firmato nel 2023 due accordi strategici con l’Israel Innovation Authority e con Ramot, l’ufficio di trasferimento tecnologico della Tel Aviv University. L’obiettivo è sviluppare collaborazioni con startup israeliane nei settori della difesa, della cybersecurity e dell’intelligenza artificiale.Ovviamente, queste collaborazioni non sono esenti da controversie.

Diverse organizzazioni umanitarie accusano Leonardo di contribuire indirettamente alle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza e nei territori occupati. La società è stata citata in rapporti internazionali – incluso uno stilato dall’ONU nel luglio 2025 – che la inseriscono tra le aziende coinvolte nell’economia di guerra israeliana. Nonostante l’annuncio ufficiale di uno stop alle forniture, alcuni materiali, secondo fonti indipendenti, sarebbero continuati a fluire verso Israele anche nel 2024.

In definitiva, Leonardo continua a rappresentare un tassello fondamentale nei rapporti economico-militari tra Italia e Israele, mettendo di fatto l’alta tecnologia a servizio del genocidio in corso a Gaza.

La mobilitazione della società civile

Di fronte a questo scenario, cresce l’impegno della società civile, delle reti pacifiste, dei movimenti nonviolenti, delle comunità religiose e dei giuristi democratici per chiedere la piena applicazione della legge 185/90 e la ratifica immediata del TPAN. La Rete Italiana Pace e Disarmo, Pax Christi, Emergency, Libera, e molte altre realtà denunciano da anni il legame perverso tra economia di guerra, repressione dei diritti e destabilizzazione globale.

In Italia, numerose città hanno aderito al Trattato come “Zone libere da armi nucleari” e il Parlamento, più volte sollecitato da interrogazioni e mozioni, continua a ignorare l’appello della società civile per un cambio di rotta radicale. Anche il mondo dell’educazione, con progetti di disarmo culturale e memoria storica, tenta di costruire un futuro diverso per le nuove generazioni.

La disapplicazione della legge 185/90 non è solo una questione giuridica o politica: è una ferita aperta alla coscienza democratica del nostro Paese. Continuare a vendere armi a chi opprime, bombarda e uccide, significa rendersi complici di crimini contro l’umanità. Un futuro di pace richiede coerenza, coraggio e disobbedienza civile di fronte all’economia di guerra. E un impegno concreto per trasformare le fabbriche di morte in officine di vita, giustizia e dignità.

Laura Tussi

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