Alfredo Facchini
Non è Jovanotti, ma poco ci manca. Piero Pelù annuncia un concerto per la Palestina, “SOS Palestina”, il 18 settembre a Firenze e subito corre a precisare: “Il mio concerto non è contro Israele, anche quello di Hamas è terrorismo.”
Un riflesso condizionato. Una premessa d’obbligo. Una sorta di passaporto morale da esibire per non turbare le anime belle e discografici.La solita equidistanza. Il solito gioco delle parti, in cui l’oppressore e l’oppresso vengono messi sullo stesso piano. Da una parte l’esercito più crudele del Medio Oriente, protetto dall’Occidente, che rade al suolo interi quartieri, che affama un popolo intero, che bombarda scuole, ospedali, campi profughi. Dall’altra un movimento armato, parte della Resistenza, che – piaccia o meno – nasce da decenni di occupazione, di apartheid, di violenza sistematica.
Pelù dice: “Hanno fatto una bastardata a dei giovani che erano a un rave e a civili che vivevano in kibbutz, magari illegali, ma comunque è terrorismo.”Ma i kibbutz “magari illegali” non sono un dettaglio: sono la questione. Sono avamposti di colonizzazione. Sono l’architettura dell’occupazione. Fingere che siano “magari” illegali significa fare finta di non sapere, di non vedere.È questa la misura del coraggio degli artisti italiani? Organizzare un concerto per la Palestina e, nello stesso respiro, rassicurare: non è contro Israele, non fraintendetemi, non mi schierate dalla parte sbagliata. Ma allora a cosa serve?Basta con l’equidistanza. Basta con questa paura di dire le cose come stanno. L’arte non è fatta per i distinguo da ufficio stampa. L’arte o è lama che taglia l’ipocrisia, o è intrattenimento innocuo. E se il massimo che riescono a dire i nostri cantanti è che “anche Hamas è terrorismo”, allora restano i soliti paraculi festivalieri. Non voci di resistenza.
Che deve succedere ancora perché gli artisti italiani trovino il coraggio di schierarsi davvero? Quante fosse comuni devono aprirsi a Gaza, quanti ospedali distrutti, quanti bambini senza acqua e senza pane?
Pelù, volevi cantare per la Palestina? Allora canta, ma non con la paura che qualcuno ti accusi di aver scelto da che parte stare. Perché la verità è questa: o stai con gli oppressi, o stai con gli oppressori.


Bravo Manuel, “chi non si schiera, diventa la barricata” e, ”prende i colpi da tutte e due le parti”