TRA OPINARE SU TUTTO O TACERE SU TUTTO: LA GABBIA BIPOLARE DEI SOCIAL. RIFLESSIONI INUTILI

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TRA OPINARE SU TUTTO O TACERE SU TUTTO: LA GABBIA BIPOLARE DEI SOCIAL. RIFLESSIONI INUTILI

Lavinia Marchetti

E’ interessante osservare come l’evoluzione dei social modifichi di pari passo anche il pensiero. Un’osservazione trasversale al livello di studio e anche a livello socio-economico ci mostra con una certa evidenza come ogni post social possa assumere due direzioni distinte in base a chi lo scrive: chi opina su tutto, chi non opina su niente.

Rarissimamente in questi ultimi anni, ho letto un post dubbioso, un articolo che faccia più domande che risposte (mi ci metto anch’io nel carnaio). Chiunque esprima un’opinione la pone come “verità” e chi non esprime opinioni e si dissocia anche solo dal potere avere un’idea a sua volta esprime l’unica “verità” (la sua) che non ci siano “verità”. Non basta dire che siamo nell’era della post-verità per salvarci. Bisogna chiederci perché siamo in questa era. Di fatto la modifica del pensiero è stata piuttosto rapida ed è virata verso l’apodittico in risposta alla critica. L’esasperazione nasce quasi sempre in risposta. Un tempo stavamo con persone che più o meno la pensavano al nostro stesso modo. Insomma vi ricordate? Vivevamo bene anche senza internet, senza google, parlando tra di noi, frequentando le università, i circoli politici, leggendo i giornali. Ricevevamo critiche anche allora, ma difficilmente saremmo andati a parlare con persone all’estremo opposto dalla nostra weltanschauung.

I social in un primo momento hanno permesso la contrazione verso la critica. Ad ogni nostro post potevano intervenire persone che dissentivano. Sembrava stimolante. Poi la critica è diventata sempre più feroce e con essa odio e impunità totale. La risposta è stata o il ban della dissidenza o l’estremizzazione delle posizioni che hanno pian piano cancellato la possibilità della replica, del dubbio, della dialettica.

Anch’io quando adesso scrivo penso sempre: previeni questa critica! Se scrivi questo arriverà il tizio a dirti quest’altro e così via. Questo modifica sia la scrittura che il pensiero. Siamo sempre sulla difensiva.

Quante volte leggiamo: “chi non la pensa come me mi cancelli…bla bla bla”, “chi è XXX sarà bannato”. Insomma non solo l’opinione (su quasi tutto) diventa “verità” e deve creare solo “accoliti”, ma anche chi si permette di insinuare il dubbio cortocircuita il sistema, soprattutto perché quel dubbio a sua volta è posto come invettiva, insulto alla persona e non agli argomenti, un po’ come dare della strega a qualcuno che ha osato criticarti. Questo significa che il pensiero non è più in grado di accogliere in se stesso la contraddizione, l’opinione come opinione, i fatti come fatti, ossia modificabile. In una parola si è perso l’esercizio della critica, l’arte della domanda, oserei dire la “dialettica”, ma sarebbe chiedere troppo in questa ipnosi regressiva che stiamo vivendo. Lo stesso atteggiamento di chi si “dissocia” atarassicamente da tutto rientra nell’esercizio del soffocamento del “dubbio”. Qualsiasi cosa dicano gli altri allora diventa un “falso” problema, perché l’unica verità “vera” sarebbe che non esistono “verità”, e anche questo è un moto di reazione alla critica, se ci poniamo cerchiobottisticamente senza posizioni nessuno può criticarci, se non esistiamo nel pensiero, non c’è nessun pensiero da attaccare.

Quindi tutto è relativo e se tutto è relativo ogni azione e controreazione sono determinate storicamente o geneticamente e quindi svanisce il concetto di “responsabilità” e anche di etica, o meglio tutto diventa “etico”. I social ci collocano in due forme estreme che ricalcano la stessa posizione: la paura che il proprio pensiero non valga quanto si pensi. E spesso è pure “vero”.

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